un anno fa
Un anno fa, 230000 morti. Duecentotrentamila. Un anno fa, lo tsunami.
Acqua, acqua, ancora acqua. Acqua che cancella i tetti delle case, dei ristoranti, degli alberghi; acqua che trascina via le persone. Acqua che fa paura, perché con una rabbia maligna, prima si fa avanti, poi torna indietro e alla fine dà il colpo di grazia. Poi un altro ed un altro ancora.
Un anno fa Thailandia, Sri Lanka, e altri annegavano sotto il peso di una punizione non meritata. A quei paesi era stato tolto il diritto di credere nel miglioraramento. La definirono una strage epocale. Più per il fatto che, con il senno di poi, sarà per sempre impossibile cercare di nuovo una pace, una serenità, quando sono ancora appesi i cartelloni con i nomi dei dispersi e dei morti; quando le persone hanno ancora troppa paura di guardare verso l’oceano.
Un anno fa, qua in Italia: lo sgomento. Il consumismo riuscì a banalizzare anche un evento così tragico, grazie alle telefonate informative dei vips che erano là in vacanza, grazie ai primi piani su visi disperati di che chi non ritrovava la propria compagna, grazie ai servizi su chi se l’era vista morire davanti agli occhi.
Cambiare canale per non vedere il dolore. Sentire dentro di me una impotenza sempre maggiore, dirmi che oh si, se fosse successo fra qualche anno sarei partita subito, senza badare alle mie cose.
E poi?
Se n’è parlato quanto? Un mese? Il boom degli sms…..ma dopo?
Duecentotrentamila morti. Più di cento volte i morti delle torri gemelle. Di questi duecentotrentamila è rimasto “Il giorno del ricordo”, le fiaccolate, le veglie di preghiera. Le lacrime di chi non ha visto la persona amata tornare a casa. I problemi di che ha perso il lavoro e non sa più di che vivere, perché quell’impiego nel Club Med o nel Villaggio Valtur spazzato via dalla corrente, era la vita.
Si sa, bisogna resistere, passarci sopra, andare avanti.
E così il cantante di turno ci scrive una canzone sopra e vince il Festival. Bene, bravo, bis. Per tutti quanti è una grande tristezza continuare a parlarne, quindi, perché non ignorare, perché seguitare a pensarci? Tanto prima o poi, bisognerà pur dimenticare?
Ad un anno di distanza, non c’è stato neppure uno speciale Tg1. Non si sa se è stato ricostruito un ospedale, una casa-famiglia. Non so se il mio euro è servito a qualcosa. Una cosa è certa: là ci sarà bisogno di aiuto per ancora tanto tempo. Quindi, appena avrò la possibilità di farlo, proverò a non farmi attendere.
Acqua, acqua, ancora acqua. Acqua che cancella i tetti delle case, dei ristoranti, degli alberghi; acqua che trascina via le persone. Acqua che fa paura, perché con una rabbia maligna, prima si fa avanti, poi torna indietro e alla fine dà il colpo di grazia. Poi un altro ed un altro ancora.
Un anno fa Thailandia, Sri Lanka, e altri annegavano sotto il peso di una punizione non meritata. A quei paesi era stato tolto il diritto di credere nel miglioraramento. La definirono una strage epocale. Più per il fatto che, con il senno di poi, sarà per sempre impossibile cercare di nuovo una pace, una serenità, quando sono ancora appesi i cartelloni con i nomi dei dispersi e dei morti; quando le persone hanno ancora troppa paura di guardare verso l’oceano.
Un anno fa, qua in Italia: lo sgomento. Il consumismo riuscì a banalizzare anche un evento così tragico, grazie alle telefonate informative dei vips che erano là in vacanza, grazie ai primi piani su visi disperati di che chi non ritrovava la propria compagna, grazie ai servizi su chi se l’era vista morire davanti agli occhi.
Cambiare canale per non vedere il dolore. Sentire dentro di me una impotenza sempre maggiore, dirmi che oh si, se fosse successo fra qualche anno sarei partita subito, senza badare alle mie cose.
E poi?
Se n’è parlato quanto? Un mese? Il boom degli sms…..ma dopo?
Duecentotrentamila morti. Più di cento volte i morti delle torri gemelle. Di questi duecentotrentamila è rimasto “Il giorno del ricordo”, le fiaccolate, le veglie di preghiera. Le lacrime di chi non ha visto la persona amata tornare a casa. I problemi di che ha perso il lavoro e non sa più di che vivere, perché quell’impiego nel Club Med o nel Villaggio Valtur spazzato via dalla corrente, era la vita.
Si sa, bisogna resistere, passarci sopra, andare avanti.
E così il cantante di turno ci scrive una canzone sopra e vince il Festival. Bene, bravo, bis. Per tutti quanti è una grande tristezza continuare a parlarne, quindi, perché non ignorare, perché seguitare a pensarci? Tanto prima o poi, bisognerà pur dimenticare?
Ad un anno di distanza, non c’è stato neppure uno speciale Tg1. Non si sa se è stato ricostruito un ospedale, una casa-famiglia. Non so se il mio euro è servito a qualcosa. Una cosa è certa: là ci sarà bisogno di aiuto per ancora tanto tempo. Quindi, appena avrò la possibilità di farlo, proverò a non farmi attendere.